La febbre del petrolio espone Monopoli al più grave rischio che abbia mai corso nella sua storia.
Avere questa perforazione a largo della costa di Monopoli significa cedere parte del nostro territorio alla/e compagnia/e petrolifera/e per estrarre petrolio di pessima qualità che dovrà essere sottoposto a processi molto inquinanti di desulfurazione. Il 90% della popolazione si troverà a vivere dentro un distretto petrolifero.
Le compagnie petrolifere pagheranno allo Stato il circa un 7% di royalties e alla nostra regione solo l’1%. In altri paesi del mondo si pagano dal 30% all’80% di royalties come ricompensa per i danni ambientali. Vista la pessima qualità del nostro petrolio, il basso costo è l’unica ragione che rende interessante la nostra area regionale agli occhi dei petrolieri. I pozzi di petrolio non porteranno posti di lavoro perché le compagnie petrolifere utilizzano i propri tecnici da fuori regione. Le raffinerie sono altamente automatizzate e a regime serviranno solo poche decine di persone. Al contrario, l’inquinamento provocato dall’attività petrolifera riguarderà tutta la regione con ricadute pesantissime sulla salute della gente e sull’economia".E' risaputo da indagini scientifiche che il petrolio del basso Adriatico è di pessima qualità perché ricco di zolfo. Per essere trasportato via dalla nostra Monopoli attraverso il porto di Monopoli stessa (credo, o al massimo di Bari o Brindisi) deve essere prima sottoposto ad un processo di raffinazione. Il prodotto di scarto più pericoloso è l’idrogeno solforato (H2S) dagli effetti letali sulla salute umana anche a piccole dosi. L’Organizzazione Mondiale della Sanita’ raccomanda di non superare 0.005 parti per milione (ppm) mentre in Italia il limite massimo previsto dalla legge è pari a 30 ppm : ben 6000 volte di più. In mare addirittura non ci sono limiti in Italia. Politici e petrolieri diranno che tutto è a norma di legge, ed è vero! Il problema è che tali leggi sono fatte per tutelare i loro interessi e non i nostri! (Un invito a leggere uno studio all'indirizzo: http://www.csun.edu/~dorsogna/h2s.pdf).
Le attività di perforazione e produzione di petrolio dal fondo marino contribuiscono per il 2% all'inquinamento marino. Questo 2% va sommato al 12% dovuto agli incidenti nel trasporto marittimo, si aggiunge il 33% per operazioni sulle navi relative a carico e scarico, bunkeraggio, lavaggio, scarichi di acque di sentina o perdite sistematiche, che porta al 45% l'apporto complessivo di inquinamento dovuto a perdita dalle navi. Un consistente apporto di inquinamento da petrolio, stimato al 37%, è quello che proviene da scarichi urbani e industriali, sistematici o accidentali, e perdite da raffinerie, oleodotti, depositi. Inoltre le ricadute atmosferiche di idrocarburi evaporati o parzialmente incombusti danno un apporto del 9%, sorgenti sottomarine rilasciano per trasudamento naturale un apporto del 7%.
I danni causati agli ecosistemi dagli sversamenti di petrolio dipendono da molti fattori tra cui vi sono la quantità, le caratteristiche del petrolio stesso e la sua distribuzione.Quest'ultima dipende spesso da fattori incontrollabili come i venti o le correnti.Le caratteristiche chimico-fisiche del petrolio ne determinano la tossicità.Il petrolio costituito da un miscuglio di idrocarburi che sono suddivisi nelle seguenti classi:
1) Idrocarburi saturi (alcani, paraffine)
2) Idrocarburi insaturi (alcheni, olefine)
3) Idrocarburi aromatici, tra cui gli IPA (Idrocarburi aromatici policiclici)
4) Cicloparaffine.
A differenza degli altri idrocarburi, tutti gli idrocarburi aromatici sono tossici. In particolare gli IPA sono gli idrocarburi del petrolio più pericolosi per la vita, a causa della loro azione cancerogena. Altri fattori molto importanti sono le condizioni dell'ambiente, come la salinità, la temperatura dell'acqua e il tipo di costa. Questi fattori influiscono sugli effetti sull'habitat, ma anche sulle procedure di clean-up.Vi sono infine le caratteristiche biologiche rappresentate cioè dagli organismi che vengono colpiti dal fenomeno.Queste caratteristiche comprendono la specie, la fase del ciclo vitale (larvale, giovanile o adulto) e la taglia.La criticità della specie legata alle caratteristiche della stessa ma anche alla sua funzione e posizione nella catena alimentare.
Danni meno evidenti ma non meno pericolosi sono quelli derivanti dal bioaccumulo, cio dall'arricchimento di una sostanza negli organismi viventi per qualunque via, respirazione, ingestione di cibo, contatto. Il bioaccumulo e la biomagnificazione, cioè l'arricchimento esponenziale di una sostanza nella catena trofica, possono portare a livelli elevati di IPA nei tessuti degli organismi. Le relative conseguenze possono essere di alterazioni della riproduzione, immunotossicità, teratogenesi, carcinogenesi, alterazioni ormonali.
La trasformazione della nostra Monopoli in distretto minerario creerà un danno all’intero sistema agricolo e all’immagine dei prodotti eno-gastronomici monopolitani
L’incompatibilita’ tra agricoltura e raffinerie è stata dimostrata scientificamente più di 30 anni fa. Allo stato attuale non esistono tecnologie che possano evitare i danni ambientali. Per questo motivo negli USA e negli altri paesi europei non vengono consentiti impianti di raffinazione di nessun tipo in prossimità di zone abitate.
Vi sarà anche un danno incalcolabile nel settore turistico e alberghiero: chi vorrà trascorrere le proprie vacanze tra fiamme alte 30 metri e puzza di uovo marcio (H 2 S)?
L’estrazione del petrolio e la sua raffinazione comportano un notevole dispendio di acqua. Solo l’impianto di desulfurazione utilizzerà UN MILIONE di litri d’acqua potabile al giorno. Acqua che sarà prelevata dall’acquedotto pubblico, già perennemente carente in estate. Queste acque contaminate dallo zolfo e metalli pesanti saranno poi reimmesse nel terreno con un rischio gravissimo di contaminazione delle falde. In Basilicata è già successo.Secondo i miei calcoli (essendo un ingegnere ambientale) la perforazione da 53.2 milioni lordi di barili e 36.5 milioni di barili netti emetterà ogni anno: 112 t di ossido di zolfo, 322 t di nitrati, 80 t di monossido di carbonio, 1.2 t di polveri fini e 2.2 t di composti volatili organici (con una sottostima del 20%).
Ancora, negli Stati Uniti le perforazioni in mare devono essere eseguite a 160 km dalla costa per paura di possibili incidenti che riverserebbero petrolio sulla costa e questo dal 1969. Tali vincoli non esistono in Italia e a Monopoli la Northern Petroleum Plc
vuole installare un piattaforma a 16 km dalla costa. Conoscete qualcuno che vorrà venire in vacanza all’ombra di una piattaforma petrolifera?
La ricaduta delle sostanze inquinanti immesse nell’aria e nell’acqua danneggiano le potenzialità agricole della regione. In Val d’Agri (Basilicata) 15 anni fa i petrolieri dicevano le stesse cose che dicono a noi e cioè che tutta la loro attività è compatibile con l’agricoltura e la salute umana. Evidentemente mentivano se oggi in Basilicata i terreni vengono abbandonati e lasciati incolti perché producono poco o niente e con pessima qualità. Gli stessi terreni che furono pagati a caro prezzo dai rispettivi proprietari, oggi non valgono nulla perché non c’è mercato. Nessuno li vuole. Il risultato è un danno economico pesantissimo che nessuno ha mai risarcito.
A tutto questo va aggiunto che con le perforazioni c'è il rischio subsidenza, che è l’abbassamento del terreno a causa delle estrazioni di idrocarburi. Questo fenomeno è qualche volta accompaganto da micro terremoti e dissesti geologici. In Italia, nel 1936, furono aperti i primi pozzi di metano nella Laguna veneta e in quello stesso periodo iniziarono le alluvioni del Polesine, attribuite proprio al fenomeno della subsidenza. Nel 1963 si decise di disattivare i pozzi di metano per proteggere le popolazioni e da allora le alluvioni del Polesine sono solo un ricordo. Di recente c’è stato un processo contro l’Eni in Veneto per tentata alluvione e disastro ambientale perché questo ente ha tentato di costruire un pozzo di idrocarburi in una zona vietata dal decreto Ronchi, redatto proprio per proteggere la Laguna dalla subsidenza.
Il rischio di subsidenza è uno dei tanti motivi per cui le legislazioni di altri Paesi sono molto rigide nei permessi di estrazione nelle vicinanze di aree protette, di centri abitati e della costa. Negli Usa sono vietate le estrazioni petrolifere fino a 160 km. dalla costa pacifica e atlantica. Si può trivellare solo nel mare antistante il Texas, nel Golfo del Messico. Il Texas ha però deciso di non puntare sul turismo marino. La moratoria nei mari Usa vige dai primi anni Ottanta e tutti la rispettano perché nessuno vuole mettere a rischio le proprie industrie turistiche. I grandi laghi americani attorno alle Cascate del Niagara hanno una superficie di circa una volta e mezza l’Adriatico: è assoluto il divieto di trivellare per i pericoli sul ciclo naturale.
In Norvegia le piattaforme sono tutte in mare aperto, ad almeno 50 km dalla costa e lo Stato norvegese garantisce una pensione dai ricavati del petrolio a tutti i suoi cittadini. Ma la Norvegia è lo Stato più trasparente nell’informazione sui rischi e i danni dell’attività estrattiva. Una differenza enorme rispetto alle leggi blande italiane dove persino i controlli, anche sugli smaltimenti dei pericolosi fanghi residui, sono molto rari e dove le royalties, come dimostra proprio il caso Basilicata, sono fra le più basse al mondo.I petrolieri lavorano alla petrolizzazione di Monopoli dagli inizi degli anni 2000 mentre la classe politica sapeva, stava zitta e metteva le firme necessarie. Gli unici a non essere informati erano i semplici cittadini che non avrebbero mai accettato la trasformazione irreversibile del loro territorio.Nel frattempo la stampa è venuta meno al suo lavoro di indagine nascondendo e sottovalutando gli allarmi lanciati da scienziati e da grandi enti di ricerca scientifica. Per questa ragione molti monopolitani non sanno ancora niente del rischio spaventoso che la nostra regione sta correndo.
In ogni caso meglio prevenire che curare.
Propongo di indire un referendum per far decidere ai monopolitani, padroni del loro territorio, se vogliono una Monopoli nera e una Monopoli verde. Invito le associazioni e le istituzioni interessate a organizzare tutte le procedure necessarie per indire un referendum. Un'iniziativa popolare ma anche istituzionale per vedere cosa vogliono i monopolitani. Una idea che potrebbe essere comunque sviluppata nei prossimi mesi dal momento che non è facile e immediato organizzare un referendum.Però potrebbe essere una idea di successo che passa attraverso il coinvolgimento di persone che fino a questo momento sono state sempre estromesse da scelte decisive per il territorio e che hanno avuto come unico strumento di battaglia quello delle manifestazioni di dissenso.
A differenza degli altri idrocarburi, tutti gli idrocarburi aromatici sono tossici. In particolare gli IPA sono gli idrocarburi del petrolio più pericolosi per la vita, a causa della loro azione cancerogena. Altri fattori molto importanti sono le condizioni dell'ambiente, come la salinità, la temperatura dell'acqua e il tipo di costa. Questi fattori influiscono sugli effetti sull'habitat, ma anche sulle procedure di clean-up.Vi sono infine le caratteristiche biologiche rappresentate cioè dagli organismi che vengono colpiti dal fenomeno.Queste caratteristiche comprendono la specie, la fase del ciclo vitale (larvale, giovanile o adulto) e la taglia.La criticità della specie legata alle caratteristiche della stessa ma anche alla sua funzione e posizione nella catena alimentare.
Danni meno evidenti ma non meno pericolosi sono quelli derivanti dal bioaccumulo, cio dall'arricchimento di una sostanza negli organismi viventi per qualunque via, respirazione, ingestione di cibo, contatto. Il bioaccumulo e la biomagnificazione, cioè l'arricchimento esponenziale di una sostanza nella catena trofica, possono portare a livelli elevati di IPA nei tessuti degli organismi. Le relative conseguenze possono essere di alterazioni della riproduzione, immunotossicità, teratogenesi, carcinogenesi, alterazioni ormonali.
La trasformazione della nostra Monopoli in distretto minerario creerà un danno all’intero sistema agricolo e all’immagine dei prodotti eno-gastronomici monopolitani
L’incompatibilita’ tra agricoltura e raffinerie è stata dimostrata scientificamente più di 30 anni fa. Allo stato attuale non esistono tecnologie che possano evitare i danni ambientali. Per questo motivo negli USA e negli altri paesi europei non vengono consentiti impianti di raffinazione di nessun tipo in prossimità di zone abitate.
Vi sarà anche un danno incalcolabile nel settore turistico e alberghiero: chi vorrà trascorrere le proprie vacanze tra fiamme alte 30 metri e puzza di uovo marcio (H 2 S)?
L’estrazione del petrolio e la sua raffinazione comportano un notevole dispendio di acqua. Solo l’impianto di desulfurazione utilizzerà UN MILIONE di litri d’acqua potabile al giorno. Acqua che sarà prelevata dall’acquedotto pubblico, già perennemente carente in estate. Queste acque contaminate dallo zolfo e metalli pesanti saranno poi reimmesse nel terreno con un rischio gravissimo di contaminazione delle falde. In Basilicata è già successo.Secondo i miei calcoli (essendo un ingegnere ambientale) la perforazione da 53.2 milioni lordi di barili e 36.5 milioni di barili netti emetterà ogni anno: 112 t di ossido di zolfo, 322 t di nitrati, 80 t di monossido di carbonio, 1.2 t di polveri fini e 2.2 t di composti volatili organici (con una sottostima del 20%).
Ancora, negli Stati Uniti le perforazioni in mare devono essere eseguite a 160 km dalla costa per paura di possibili incidenti che riverserebbero petrolio sulla costa e questo dal 1969. Tali vincoli non esistono in Italia e a Monopoli la Northern Petroleum Plc
vuole installare un piattaforma a 16 km dalla costa. Conoscete qualcuno che vorrà venire in vacanza all’ombra di una piattaforma petrolifera?
La ricaduta delle sostanze inquinanti immesse nell’aria e nell’acqua danneggiano le potenzialità agricole della regione. In Val d’Agri (Basilicata) 15 anni fa i petrolieri dicevano le stesse cose che dicono a noi e cioè che tutta la loro attività è compatibile con l’agricoltura e la salute umana. Evidentemente mentivano se oggi in Basilicata i terreni vengono abbandonati e lasciati incolti perché producono poco o niente e con pessima qualità. Gli stessi terreni che furono pagati a caro prezzo dai rispettivi proprietari, oggi non valgono nulla perché non c’è mercato. Nessuno li vuole. Il risultato è un danno economico pesantissimo che nessuno ha mai risarcito.
A tutto questo va aggiunto che con le perforazioni c'è il rischio subsidenza, che è l’abbassamento del terreno a causa delle estrazioni di idrocarburi. Questo fenomeno è qualche volta accompaganto da micro terremoti e dissesti geologici. In Italia, nel 1936, furono aperti i primi pozzi di metano nella Laguna veneta e in quello stesso periodo iniziarono le alluvioni del Polesine, attribuite proprio al fenomeno della subsidenza. Nel 1963 si decise di disattivare i pozzi di metano per proteggere le popolazioni e da allora le alluvioni del Polesine sono solo un ricordo. Di recente c’è stato un processo contro l’Eni in Veneto per tentata alluvione e disastro ambientale perché questo ente ha tentato di costruire un pozzo di idrocarburi in una zona vietata dal decreto Ronchi, redatto proprio per proteggere la Laguna dalla subsidenza.
Il rischio di subsidenza è uno dei tanti motivi per cui le legislazioni di altri Paesi sono molto rigide nei permessi di estrazione nelle vicinanze di aree protette, di centri abitati e della costa. Negli Usa sono vietate le estrazioni petrolifere fino a 160 km. dalla costa pacifica e atlantica. Si può trivellare solo nel mare antistante il Texas, nel Golfo del Messico. Il Texas ha però deciso di non puntare sul turismo marino. La moratoria nei mari Usa vige dai primi anni Ottanta e tutti la rispettano perché nessuno vuole mettere a rischio le proprie industrie turistiche. I grandi laghi americani attorno alle Cascate del Niagara hanno una superficie di circa una volta e mezza l’Adriatico: è assoluto il divieto di trivellare per i pericoli sul ciclo naturale.
In Norvegia le piattaforme sono tutte in mare aperto, ad almeno 50 km dalla costa e lo Stato norvegese garantisce una pensione dai ricavati del petrolio a tutti i suoi cittadini. Ma la Norvegia è lo Stato più trasparente nell’informazione sui rischi e i danni dell’attività estrattiva. Una differenza enorme rispetto alle leggi blande italiane dove persino i controlli, anche sugli smaltimenti dei pericolosi fanghi residui, sono molto rari e dove le royalties, come dimostra proprio il caso Basilicata, sono fra le più basse al mondo.I petrolieri lavorano alla petrolizzazione di Monopoli dagli inizi degli anni 2000 mentre la classe politica sapeva, stava zitta e metteva le firme necessarie. Gli unici a non essere informati erano i semplici cittadini che non avrebbero mai accettato la trasformazione irreversibile del loro territorio.Nel frattempo la stampa è venuta meno al suo lavoro di indagine nascondendo e sottovalutando gli allarmi lanciati da scienziati e da grandi enti di ricerca scientifica. Per questa ragione molti monopolitani non sanno ancora niente del rischio spaventoso che la nostra regione sta correndo.
In ogni caso meglio prevenire che curare.
Propongo di indire un referendum per far decidere ai monopolitani, padroni del loro territorio, se vogliono una Monopoli nera e una Monopoli verde. Invito le associazioni e le istituzioni interessate a organizzare tutte le procedure necessarie per indire un referendum. Un'iniziativa popolare ma anche istituzionale per vedere cosa vogliono i monopolitani. Una idea che potrebbe essere comunque sviluppata nei prossimi mesi dal momento che non è facile e immediato organizzare un referendum.Però potrebbe essere una idea di successo che passa attraverso il coinvolgimento di persone che fino a questo momento sono state sempre estromesse da scelte decisive per il territorio e che hanno avuto come unico strumento di battaglia quello delle manifestazioni di dissenso.
ing. Giuseppe Deleonibus
Presidente Cittadino dei VERDI per la Pace
Nessun commento:
Posta un commento